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Successo di pubblico e di contenuti per la sedicesima edizione del Congresso Europeo di Medicina Interna, ospitata dalla sede dell’Università degli Studi di Milano, dove si sono alternati 40 relatori di diverse nazionalità. Numerosi gli argomenti al centro dell’evento, organizzato dall’EFIM, Federazione Europea di Medicina Interna: dal ruolo della medicina interna in un mondo di risorse limitate all’invecchiamento della popolazione; dal concetto di “Less is More” alla medicina dei migranti.
Proprio su quest’ultimo tema si è soffermato il Prof. Pietro Amedeo Modesti, Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica dell’Università di Firenze, che ha illustrato l’importanza della “Salute degli immigrati e delle minoranze etniche: una sfida per l’Europa”.
“Nel 1990 – ha spiegato il Prof. Modesti – poco più del 2% della popolazione in Italia era nata al di fuori dell’UE. Al 1° gennaio 2016 le persone residenti nell’UE-28 e nate al di fuori dell’UE erano 35,1 milioni. L’analisi della struttura per età della popolazione rivela che, per l’UE-28 nel suo insieme, la popolazione straniera è più giovane di quella autoctona. Al 1° gennaio 2016 l’età mediana della popolazione nazionale nell’UE-28 era di 44 anni, mentre l’età mediana degli stranieri residenti nell’UE era di 36 anni. Dal 2000 al 2009 l’aumento più consistente dei residenti nati all’estero si è riscontrato in Spagna e in Italia. Nel nostro Paese i migranti sono una popolazione globale in espansione di crescente importanza sociale, demografica e politica e il tasso di immigrati nel numero totale di residenti attualmente supera il 10% in regioni come Lombardia, Emilia Romagna e Toscana”. “In molti Paesi europei – ha proseguito – la prevalenza di ipertensione, diabete, malattia renale cronica, obesità e sindrome metabolica è risultata più elevata nella maggior parte dei gruppi etnici rispetto alla popolazione nativa. I soggetti provenienti dall’Africa sub-sahariana e dall’Asia meridionale si trovano infatti ad avere un rischio maggiore di ictus e di insufficienza renale rispetto agli europei nativi”. “Anche in Italia – ha aggiunto – il rischio di malattia coronarica dei soggetti provenienti dal Sud Est Asiatico è attualmente 2 volte maggiore rispetto ai soggetti nati in Italia. Le linee guida per la prevenzione delle malattie cardiovascolari promosse nel 2016 dalla Società Europea di Cardiologia suggeriscono di considerare un aumento del rischio cardiovascolare di 1.4 volte per la popolazioni nate nel Sud Est Asiatico e di 1.3 volte per quelle originarie dall’Africa Sub-Sahariana”.
Il Prof. Modesti si è poi soffermato sulla comunità cinese, la terza tra le comunità di immigrati che vivono in Italia. “Secondo alcune stime – ha affermato – la prevalenza del diabete mellito in Cina è passata dall’1% nel 1980 al 11% nel 2013. Prato, con una popolazione di 185.456 al Censimento 2011, è la città italiana con la più alta percentuale di cinesi rispetto alla popolazione residente. Attualmente il 32% dei bambini che nascono a Prato ha madre cinese. Nel corso degli ultimi 15 anni oltre 40.000 immigrati cinesi si sono stabiliti a Prato dove, alla fine del 2011, erano circa 5.000 le aziende di proprietà cinese, circa 4.000 delle quali coinvolte nel settore dell’abbigliamento”. Nel 2014, grazie alla collaborazione delle Autorità Cinesi e delle principali associazioni cinesi della zona, è stato possibile costruire un progetto condiviso finalizzato a identificare e dare priorità ai bisogni della comunità in modo che le autorità sanitarie regionali possano rispondere alle esigenze della popolazione cinese e allocare le risorse in modo appropriato. Nella prima parte dello studio sono state indagate 1.600 persone cinesi di età compresa tra 18 e 59 anni. Nella fascia di età tra 35 e 59 anni è stato messo in evidenza che i soggetti cinesi hanno, rispetto a quelli italiani, un rischio maggiore di 2.6 volte per ipertensione, di 4.5 volte per quanto riguarda il diabete, di 2.4 volte di ipercolesterolemia, e di 2,9 volte di ipertrigliceridemia. In particolare, oltre il 40% dei soggetti cinesi di età inferiore ai 25 anni aveva prediabete. Nella seconda fase dello studio sono state indagate le differenze nella distribuzione della aterosclerosi.
“Alcuni dati raccolti nei paesi orientali sulla popolazione che ha avuto un ictus cerebrale, indicavano un’alta prevalenza di aterosclerosi dei vasi intracranici – ha concluso Modesti – Per questo è stata studiata l’aterosclerosi intracranica nei soggetti Cinesi con nuova diagnosi di diabete mellito e ancora asintomatici per malattia vascolare cerebrale. Nel 18% di questi soggetti è stata rilevata la presenza di una stenosi vaso intracranico. Sono questi i soggetti nei quali si dovrà agire di più per raggiungere un buon controllo dei fattori di rischio per prevenire un futuro Ictus Cerebrale”.
Tra i temi di maggiore interesse quello legato alla medicina forense umanitaria, che ha a che fare con conflitti e guerre armati, ma che è stata applicata anche ad altre situazioni riguardanti i rifugiati, i richiedenti asilo e la migrazione corrente in generale.“Si tratta – ha spiegato durante la sua relazione la Prof.ssa Cristina Cattaneo, Sezione di Medicina Legale dell’Università di Milano – dell’applicazione della medicina e della scienza per la protezione dei diritti umani e l’individuazione della loro violazione. Per la determinazione dello stato di Rifugiato in particolare e per ottenere la protezione necessaria, la medicina forense è importante per la rilevazione di traumi recenti o passati”.“Sono molto soddisfatta di come la Federazione Europea di Medicina Interna abbia promosso il Congresso – ha dichiarato la Professoressa Maria Domenica Cappellini, Presidente ECIM 2017 – permettendo così agli internisti di fornire la migliore cura ai pazienti in tutta Europa, attraverso la conoscenza dei progressi scientifici recenti”.