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P1010639 Il telefonino può trasformarsi in un sofisticato strumento capace di captare e decodificare il più impercettibile movimento o tremore del nostro corpo e, negli anziani, riconoscere i primi segnali di Parkinson, misurare il rischio di cadute e distinguere chi è ancora in forma da chi non lo è.
L’idea è venuta a un gruppo di giovani ricercatori dell’Università di Bologna, che hanno sviluppato un software e condotto un esperimento per mettere a confronto uno smartphone con un costoso apparecchio medico, oggi appannaggio di pochi centri specializzati. I risultati, appena pubblicati dalla rivista scientifica internazionale Gait & Posture, promuovono a pieni voti il telefonino.

“L’obiettivo che ci ha mossi era quello di sviluppare nuove tecnologie low-cost da poter impiegare in modo semplice e capillare per identificare e, se possibile, contenere i problemi di equilibrio e mobilità comuni negli anziani. Ci siamo messi al lavoro e, ad un certo punto, ci siamo resi conto che la soluzione ce l’avevamo letteralmente in tasca!” dice Lorenzo Chiari, 43 anni, professore di bioingegneria elettronica ed informatica e attualmente alla guida di due progetti di ricerca europei da otto milioni di euro e decine di partner tra università, centri hi-tech e imprese di mezzo continente.

“Gli smartphone che usiamo tutti i giorni – aggiunge Mellone, 32enne ingegnere elettronico e coautore dello studio – sono infatti dotati di accelerometri e giroscopi. Due sensori in grado di misurare il movimento, sia rettilineo che di rotazione. Servono, ad esempio, a raddrizzare l’immagine sullo schermo quando ruotiamo il telefonino e a controllare i giochi. Ma sono gli stessi sensori, e questo è il bello, impiegati in alcuni dei più diffusi test diagnostici sull’abilità a camminare e stare in piedi degli anziani. O almeno nelle versioni più evolute di questi test, condotte in poche cliniche specializzate. La versione tradizionale, ormai praticata in mezzo mondo, spesso si limita a cronometro e osservazione del medico”.

“Con un accelerometro possiamo invece fare molto di più – si inserisce Carlo Tacconi, terzo coautore dello studio, che di anni ne ha 32. “Possiamo misurare, ad esempio, il tempo che un anziano impiega ad alzarsi in piedi o mettersi seduto, e anche la forza con cui lo fa; la velocità con cui cammina, la cadenza dei passi, la rapidità con cui si volta, eventuali sbilanciamenti a destra o a sinistra, e persino la fluidità complessiva del movimento. Tutti questi parametri, interpretati congiuntamente, offrono un quadro molto completo della mobilità complessiva della persona. E dai primissimi studi scientifici emerge che possono predire il rischio di caduta, riconoscere i primi sintomi di Parkinson, e distinguere gli anziani ancora in forma da quelli con qualche acciacco”.

“Si tratta di test estremamente semplici per il paziente, ma in grado di rivelare molte informazioni ai medici. Uno dei più comuni, si chiama Timed up and go. Per il paziente si tratta di una passeggiata. In senso quasi letterale. Si parte da seduti. Al via ci sia alza in piedi e si cammina verso uno punto a distanza di qualche metro. Lo si raggiunge e si ritorna indietro, rimettendosi seduti. Il tutto il più rapidamente possibile” spiega Mellone.

“Il tradizionale test col cronometro, ad esempio, spesso non riscontra differenze tra anziani che hanno subìto cadute nell’ultimo anno, e quelli che invece non l’hanno fatto. I test che usano questi sensori, sì” aggiunge Luca Palmerini, 31 anni e “statistico” del gruppo. “Analogamente, il test tradizionale non è in grado di riconoscere i primi sintomi di Parkinson, che invece non sfuggono ad alcuni dei parametri misurati dagli accelerometri”.

“Il problema – dice Mellone – è che questi test così facili da realizzare ma sofisticati nei risultati, sono ad oggi legati ad apparecchiature costose. Si arriva a due, tremila euro l’una. Non sono banalissime da usare e le si trova solo in qualche centro d’eccellenza. Quello che abbiamo fatto noi, è stato mettere a confronto i risultati ottenuti con una di queste apparecchiature e un normalissimo smartphone, che oggi al dettaglio ha un costo di circa 450 euro, ma al produttore costa molto meno”.

“Grazie alla collaborazione di due medici di base, abbiamo reclutato una cinquantina di pazienti in un ambulatorio medico associato, qui alle porte di Bologna, e gli abbiamo proposto di effettuare il test. Una volta rotto il ghiaccio e appurato che non vendevamo niente, sono stati ben contenti di prestarsi all’esperimento. Abbiamo fissato insieme smartphone e apparecchio medico e, con una fascia, li abbiamo assicurati alla schiena dei pazienti, poco sopra la vita. Abbiamo così eseguito le misurazioni utilizzando entrambi gli strumenti”.

“Per impostare lo smartphone abbiamo sviluppato un’App ad hoc. Assomiglia ad una qualunque applicazione Android, il sistema operativo dello smartphone usato. Non è più complessa di quella per impostare il risparmio energetico della batteria, ad esempio. Selezioni le misure che vuoi effettuare, e premi ‘start’. Il telefonino fa tutto da solo. Con un bip, ti dice di partire, mentre un altro bip, a fine test, ti segnala che ha finito di registrare. Gli si può anche dire di trasmettere automaticamente tutti i dati ad un computer lì vicino oppure, attraverso la rete mobile, in un qualunque laboratorio” spiega ancora Tacconi.

“Le misurazioni dei due apparecchi sono risultate praticamente sovrapponibili (vd. figura). Le discrepanze su molti dati trascurabili. L’accelerometro dello smartphone, insomma, fa un lavoro egregio e a nostro giudizio può essere davvero usato in questo tipo di test” commenta Chiari. “L’impiego potrebbe inoltre essere esteso anche ad altri tipi di esame. Proprio in questi giorni stiamo discutendo con fisioterapisti interessati a monitorare l’effetto dei loro trattamenti. Allo stesso modo si potrebbe valutare intensivamente e ovunque l’efficacia di terapie chirurgiche o farmacologiche volte a migliorare la mobilità”.

“Quest’estate, nell’ambito del progetto europeo Farseeing, partirà una sperimentazione su ampia scala con centinaia di anziani coinvolti” conclude Chiari. “La faremo insieme al gruppo InChianti dell’azienda sanitaria di Firenze, da anni attivo nel cercare di comprendere i cambiamenti legati all’età o alle malattie che si traducono in progressiva difficoltà nel cammino. Sino ad oggi hanno valutato la mobilità solo in laboratorio e in modo tradizionale: siamo sicuri potranno avvantaggiarsi del nostro supporto tecnologico e delle nostre misure pervasive. Con l’Università ed alcuni imprenditori bolognesi del consorzio Innovanet, stiamo anche considerando il lancio di uno spin-off per lo sviluppo di queste ed altre soluzioni, in ambito valutativo e riabilitativo, e la loro commercializzazione”.