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Una maggiore attenzione alla cura e l’abbattimento degli ostacoli al trattamento grazie a un intervento diretto del Ministero della salute e delleRegioni, questo in sintesi è quanto è emerso dal convegno “Il costo sociale della stenosi aortica, una malattia sottovalutata” organizzato a Roma da Società Italiana di Cardiologia Invasiva (Gise), Centro Italiano Documentazione e Codifica in Sanità (Cidics), Società Italiana di Chirurgia Cardiaca (Sicch), con il patrocinio del Senato della Repubblica e con il contributo non condizionante di Edwards Lifesciences. Il dibattito si è focalizzato sullo studio “Analisi del consumo di risorse sanitarie nei pazienti affetti da stenosi aortica” e le raccomandazioni “Linee guida per la codifica delle procedure TAVI e degli altri interventi strutturali transcatetere sulle valvole cardiache”, come da un documento redatto da esperti di Gise, Sicch, Agenzie sanitarie regionali di Emilia Romagna e Toscana, in coordinamento con l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas).
“La nostra analisi –ha commentato Luca Degli Esposti, Ceo di Clicon Health– analizza il consumo di risorse sanitarie, sul piano di ricoveri, visite specialistiche, trattamenti farmacologici, esami clinici nei pazienti con stenosi aortica diagnosticata, sulla base del tipo di cura cui siano stati sottoposti. Nello studio sono stati analizzati i database amministrativi di tre ASL del territorio nazionale, in relazione al periodo 2009-2013. Si tratta di dati relativi a 3.698 persone di oltre 70 anni, ricoverate o operate per stenosi aortica.” Il primo risultato evidente è che solo il 20% dei pazienti era stato sottoposto a un intervento di sostituzione della valvola aortica. “Il dato non è sorprendente, ma fa riflettere –ha aggiunto Sergio Berti, Presidente Gise. In Italia si stima che il 4% degli over 70 soffra di stenosi aortica: il restringimento della valvola aortica causato da depositi di calcio, che altera la funzionalità della struttura che regola l’afflusso di sangue ai vari distretti dell’organismo. E’ una popolazione di 300.000 persone, circa 50.000 delle quali sono colpite dalla forma più grave e sintomatica.” “In questo caso, le linee guida internazionali e nazionali raccomandano che si proceda con un intervento per sostituire la valvola danneggiata. In questo caso ci sono due alternative: la sostituzione chirurgica, a cuore aperto o con procedura minimamente invasiva, e quella per via transcatetere, detta TAVI”, ha precisato Francesco Musumeci, Vicepresidente SICCH. “Tra l’una e l’altra, in Italia si eeseguono poco più di 15.000 interventi l’anno sui 50.000 potenziali. Un dato molto vicino a quello evidenziato da Degli Esposti”, ha precisato.
“Altri due risultati rilevanti, peraltro attesi, messi in evidenza dall’indagine – ha proseguito Degli Esposti – sono una mortalità 3 volte più elevata per chi non è operato, 18,6% rispetto a 6,3% nell’arco di 12 mesi, e ancora un maggior rischio di riospedalizzazione, che porta a un maggiore assorbimento di risorse. Questi risultati vanno letti anche in relazione alla maggiore gravità intrinseca di questa popolazione a confronto di quella operata e non semplicemente evidenziando l’assenza di un intervento. Laddove un paziente operato costa, nei 12 mesi post-intervento, in media 4.000 euro, un non operato riospedalizzato ha un costo sanitario medio di 5.000 euro, con punte fino a 11.000 euro per i più gravi.” “E qui sta il punto”, ha affermato Musumeci. “Quando si ha di fronte un malato di stenosi aortica grave, nella maggior parte dei casi la sua condizione è aggravata da malattie concomitanti, anche perchè parliamo di persone ultra settantenni. In molti casi non sono in grado di affrontare un intervento cardiochirurgico, potrebbero invece essere soggetti a TAVI, che è indicata come la procedura di elezione nei pazienti inoperabili.”
“Secondo le valutazioni svolte negli anni dalla Haute Autorité de Santé (HAS), l’Autorità nazionale sanitaria francese, paese in cui la TAVI è stata messa a punto nel 2002, il numero di pazienti che potrebbero essere soggetti a questa procedura è di circa 80 persone su un milione di abitanti”, ha precisato Berti. “In Italia si effettuano poco più di 40 procedure TAVI per milione: sono state 2.748 nel 2014 sulla base dei dati GISE. Poiché non siamo in presenza di alcun determinante epidemiologico che possa far presumere o individuare cause che originino differenze sostanziali per questo bisogno sanitario tra Italia e Francia, dovremmo aspettarcene circa 4.800 l’anno. In Italia esiste una barriera all’impiego della TAVI, e di molti altri interventi per via transcatetere sulle valvole cardiache, dovuta all’assenza di codici specifici per queste procedure nei sistemi di codifica utilizzati. La TAVI si fa, ma non esiste per il nostro sistema sanitario”, efferma Berti.
Questo problema è stato posto in evidenza dalla stessa Agenas nel documento di valutazione Programma Nazionale Esiti (PNE) 2014 e ha condotto l’agenzia a chiedere alle società scientifiche di collaborare per la definizione di un sistema di codifica uniforme. E’ nato così il documento “Linee guida per la codifica delle procedure TAVI e degli altri interventi strutturali transcatetere sulle valvole cardiache”. “Lo scopo di questo lavoro – hanno rimarcato congiuntamente Berti e Musumeci – è quello di suggerire una possibile soluzione a un problema annoso, mentre si attende che nell’ambito dei processi di revisione del sistema DRG italiano attualmente in corso – il Progetto IT-DRG – vengano predisposti codici di procedura specifici per questi interventi e specifici codici DRG, come è già indicato nella versione 32.0 del sistema DRG pubblicato dal CMS americano.” Dal 2007, anno in cui la TAVI è arrivata in Italia, alcune regioni hanno tentato di risolvere il problema con la definizione di propri criteri di codifica. In altre regioni, in assenza di indicazioni ‘istituzionali’, sono utilizzati criteri differenziati anche fra i centri di una stessa Regione. “Sarebbe fondamentale, invece, poter disporre di un unico sistema di codifica per riuscire a stimare gli interventi realmente eseguiti. La conoscenza delle procedure effettive eseguite nei singoli Centri, nelle diverse Regioni e a livello nazionale è indispensabile per poter fare valutazioni epidemiologiche, monitorare gli andamenti di attività e l’impiego di risorse, compiere valutazioni di efficacia e di sicurezza, di appropriatezza e di outcome. Ci auguriamo che il nostro lavoro sia recepito da Ministero della salute e Regioni, al fine di sanare una situazione che vede l’Italia, unica tra i paesi più avanzati. Situazione che penalizza i cittadini che soffrono di stenosi aortica”, commenta Berti. “Il caso della stenosi aortica e della TAVI è divenuto una sorta di paradigma ‘negativo’, in pratica di quello che non si sarebbe dovuto fare per garantire questo LEA. Bisogna adottare una strategia organica e uniforme in materia, che comprenda l’adeguamento degli strumenti di codifica, perchè siamo fermi a quella statunitense del 2007, validi per tutto il SSN; lo stabilire regole e tariffazione comuni, come prassi consolidata nei principali Paesi; il valutare, comunque e da subito, le soluzioni alternative, come peraltro individuate dallo stesso Patto per la salute al comma 2 dell’art. 9. Questo è stato fatto, e potrebbe essere una via da seguire, dalla Regione Emilia-Romagna con la DGR n. 1673/2014, che prevede tanto l’identificazione, seppur indiretta, della procedura TAVI, quanto una sua adeguata remunerazione, disgiunta dai DRG 104-105, sotto cui attualmente ricade in modo indistinto questo intervento”, così ha concluso Marino Nonis, Presidente Cidics.