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Un gruppo di ricerca dell’Istituto Europeo di Oncologia, guidato da Ugo Cavallaro, in collaborazione con il gruppo di Claudia Ghigna del CNR di Pavia, ha scoperto, nel tumore ovarico, la proteina L1-deltaTM, una nuova forma della già nota L1, con il suo stesso pericoloso potere: la capacità di angiogenesi, cioè la creazione di nuovi vasi sanguigni che alimentano il tumore. Lo studio è stato sostenuto da AIRC, Worldwide Cancer Research e Fondazione IEO- CCM. I risultati della ricerca, appena pubblicati sulla rivista scientifica eLife, riaccendono i riflettori sui farmaci antitumorali che agiscono contro l’angiogenesi. Si tratta di farmaci che non colpiscono direttamente il tumore, ma il sistema vascolare che apporta nutrimento, permettendo alle cellule tumorali di vivere e proliferare. Un’area di ricerca che, dopo gli entusiasmi iniziali legati agli studi di Judah Folkman negli anni 70, ha subito qualche battuta d’arresto.

La scoperta di L1-deltaTM dimostra che il filone dell’angiogenesi in oncologia è vitale. La nuova proteina, a differenza della forma classica di L1, non si trova sulla superficie cellulare dei vasi tumorali, ma viene rilasciata dalle cellule nel microambiente. Grazie alla capacità di diffondersi nel tessuto, L1-deltaTM esercita un effetto più potente sull’angiogenesi, dato che promuove la vascolarizzazione e dunque la crescita del tumore.

“Abbiamo scoperto cinque anni fa che L1, una molecola del sistema nervoso, è presente in modo abbondante e specifico anche sulla superficie endoteliale dei vasi sanguigni tumorali, mentre è quasi assente in quelli normali – spiega Cavallaro, Direttore dell’Unità di Ricerca in Oncologia Ginecologica IEO – Abbiamo quindi dimostrato che L1 rappresenta un potenziale bersaglio terapeutico nel contesto di trattamenti diretti ai vasi. L’inattivazione di L1 potrebbe infatti avere un doppio effetto: il rallentamento della crescita del tumore, e il potenziamento della chemioterapia o di altri trattamenti anti-tumorali. L’inattivazione di L1 attraverso anticorpi o altri approcci, infatti, riduce la vascolarizzazione del tumore, privandolo del nutrimento necessario a svilupparsi, e induce la “normalizzazione” dei vasi tumorali, rendendoli più simili a quelli normali. Questa regolarizzazione risolve potenzialmente un problema molto comune nell’ambito delle chemioterapie convenzionali, ovvero la scarsa penetrazione dei farmaci in tutte le aree del tessuto neoplastico. La nuova forma di L1, L1-deltaTM, potrebbe essere sfruttata sia come possibile marcatore non invasivo dell’angiogenesi tumorale, sia come nuovo bersaglio di terapie anti-angiogeniche diverse da quelle classiche, non abbastanza efficaci nella maggior parte dei casi”.

Nonostante le aspettative seguite ai primi studi sui farmaci anti-angiogenici, e pur considerando l‘efficacia ottenuta in alcuni pazienti, a oggi questi trattamenti hanno apportato benefici solo in un numero limitato di casi e spesso di breve durata. Questo perché molti tumori sviluppano meccanismi di resistenza alle terapie anti-angiogeniche classiche. Da qui la necessità di studiare più a fondo i meccanismi dell’angiogenesi tumorale e di trovare nuove strade per bloccarla. La scoperta di L1-deltaTM potrebbe aprire una di queste strade. Tra l’altro la ricerca di Cavallaro e Ghigna ha rivelato che la formazione di L1-deltaTM è dovuta al cosiddetto alternative splicing, un meccanismo noto da decenni ma finora mai studiato nel contesto dell’angiogenesi tumorale. Si aprono pertanto nuove prospettive per definire meglio come funzionano i vasi sanguigni del tumore e, quindi, per poter intervenire con maggiore efficacia.