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Il virus HIV è in grado di indurre alterazioni genetiche in un sottotipo di cellule del sistema immunitario, con l’obiettivo di sfruttarle come “rifugio”. È l’oggetto di una scoperta a firma dei ricercatori dell’Unità di Biosicurezza della terapia genica e mutagenesi inserzionale dell’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica, in collaborazione con l’Unità di Immunopatogenesi dell’AIDS e con l’Unità di Malattie infettive dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, una delle 18 strutture di eccellenza del Gruppo ospedaliero San Donato. Lo studio è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Communications.
Il virus HIV, una volta entrato nell’organismo, attacca alcune cellule del sistema immunitario, vi integra il suo DNA e le utilizza per riprodursi e diffondersi in tutto l’organismo. Attualmente non è possibile eradicare il virus; si può solo controllarne la proliferazione, grazie a una combinazione di farmaci specifici da assumere per tutta la vita: la terapia antiretrovirale. Se il trattamento viene interrotto, il virus può riemergere e l’infezione ricomparire.
Una delle modalità con cui HIV prolifera e persiste nell’organismo è stata spiegata nello studio appena pubblicato su Nature Communications: gli scienziati hanno scoperto che il virus HIV, quando infetta le cellule T regolatorie spesso integra il suo genoma accanto a due geni specifici, STAT5B e BACH2, che hanno un ruolo importante nella sopravvivenza e nella proliferazione delle cellule T, e li attiva. In questo modo, le cellule infette si riproducono più velocemente delle altre e persistono più a lungo nell’organismo, andando a costituire un vero e proprio “serbatoio virale”.
Tra le funzioni delle cellule T regolatorie c’è la modulazione della risposta immunitaria: sono queste cellule a “spegnere” il sistema immunitario quando è necessario. Il fatto che HIV ne influenzi la sopravvivenza e la proliferazione, dunque, potrebbe implicarne un ruolo nel proteggere il virus, contenendo l’attacco di altri linfociti.
“HIV è un nostro ‘sorvegliato speciale’, perché proprio questo virus, modificato geneticamente e reso innocuo in laboratorio da Luigi Naldini – direttore del SR-Tiget – è il vettore che utilizziamo per correggere i geni difettosi alla base di alcune malattie genetiche. Le nostre competenze nel campo della biologia molecolare hanno contribuito ad aggiungere un ulteriore tassello nella comprensione delle modalità con cui HIV agisce per proteggersi e persistere nell’organismo” spiegano Eugenio Montini e Daniela Cesana, rispettivamente capo dell’Unità di Biosicurezza della terapia genica e mutagenesi inserzionale e ricercatrice della stessa unità, oltre che prima autrice dello studio.
“Questa scoperta, frutto della preziosa collaborazione tra clinici e ricercatori, potrebbe aprire la strada allo sviluppo di nuove metodiche molecolari che chiariscano come viene creato e mantenuto il ‘serbatoio virale’ di HIV e ad approcci che blocchino l’attività dei geni alterati nelle cellule T regolatorie. La speranza è di ottenere in futuro l’eradicazione dell’infezione da HIV, che nel 2015, solo in Italia, ha colpito più di 3400 persone” conclude Giuseppe Tambussi, infettivologo dell’IRCCS Ospedale San Raffaele.
Questo studio è stato reso possibile grazie ai finanziamenti della Fondazione Telethon, del Ministero della Salute e della Bill and Melinda Gates Foundation.