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L’intervento di protesi d’anca con approccio anteriore, che non seziona i muscoli e consente al paziente un recupero molto rapido, è una tecnica chirurgica ampiamente praticata al Rizzoli. Un gruppo di ricerca statunitense ha sviluppato una nuova protesi disegnata appositamente per l’approccio mini-invasivo anteriore. Unico europeo coinvolto nel progetto è il prof. Cesare Faldini, direttore della Clinica Ortopedica I del Rizzoli e professore ordinario di Ortopedia e Traumatologia dell’Università di Bologna, rientrato di recente dalla Florida dove ha partecipato ai primi interventi di impianto della nuova protesi.
“Abbiamo lavorato due anni con chirurghi e ingegneri americani – spiega il prof. Faldini (a destra nella foto). – Ci conoscono e ci hanno voluti come partner anche perché la nostra esperienza è stata più volte premiata dall’American Academy of Orthopaedic Surgeons, la più prestigiosa società scientifica ortopedica a livello mondiale. Oggi i medici statunitensi che si specializzano in Ortopedia imparano l’approccio all’anca su video scientifici girati al Rizzoli, sia a Bologna che nel nostro Dipartimento in Sicilia, a Bagheria.”
Dal Rizzoli è arrivata la proposta del tipo di protesi da cui avviare la progettazione, individuato grazie al RIPO, il Registro degli impianti protesici attivato al Rizzoli dal 1990 per tenere traccia di tutti gli impianti eseguiti: solo in Svezia e in Australia esistono ad oggi registri altrettanto ampi e affidabili, che consentono quindi di avere dati sufficienti, per quantità e qualità, per capire tra l’altro quali protesi durano di più nel tempo.
Una volta scelto il tipo di protesi più “longevo” tra quelli con le caratteristiche di partenza compatibili con il nuovo obiettivo, è partita la progettazione, tra il Rizzoli e gli Stati Uniti, che ha portato a un disegno che riduce le dimensioni dell’impianto, diminuendo quindi l’invasività dell’intervento, senza stravolgerne le caratteristiche positive.
I primi due interventi sono stati eseguiti alla fine di luglio in Florida su pazienti con una grave artrosi dell’anca. “L’invasività è stata ulteriormente ridotta sia per quanto riguarda l’incisione, ormai scesa ampiamente sotto i 10 cm, sia per quanto riguarda lo stress dei tessuti muscolari. Entrambi i pazienti sono stati dimessi la sera stessa dell’intervento – afferma Faldini. – Siamo molto soddisfatti, il lavoro di ricerca ha dato i risultati clinici sperati. E continueremo a fare ricerca sulle ulteriori possibilità di miglioramento anche considerando che la protesi d’anca, storicamente riservata agli anziani affetti da artrosi, è oggi una valida alternativa anche per i pazienti più giovani con l’anca gravemente danneggiata da un trauma o da una grave malattia. Serve quindi tutta l’esperienza del Rizzoli, tra clinica e laboratorio, con l’apporto di medici e ingegneri, per sviluppare nuovi impianti adatti a diversi tipi di pazienti.”