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Niente più day-hospital, ricoveri, trasferimenti. Per tenere sotto controllo il Lupus eritematoso sistemico bastano una penna e venti secondi di tempo. La penna si appoggia su pancia o coscia e, con un clic, rilascia la terapia sotto la pelle. Il trattamento va ripetuto solamente ogni settimana. L’innovazione, da poco disponibile anche in Italia, è destinata a cambiare radicalmente il vissuto dei pazienti con il LES in cura con belimumab, il primo e al momento ancora unico anticorpo monoclonale indicato nella cura della malattia. Belimumab è disponibile in Italia dal 2013 e ha rappresentato una prima svolta nel trattamento di una patologia fino ad allora orfana di cure specifiche. Fino ad oggi, veniva somministrato attraverso un’infusione endovenosa lenta, della durata di un’ora, inizialmente ogni due settimane e, dopo il primo mese, ogni quattro. Logicamente l’endovena viene fatta in ospedale, anche perché il dosaggio è legato al peso corporeo e la fiala deve essere ricostituita ogni volta. La nuova formulazione sottocutanea mette a posto le cose, prima di tutto rappresenta la soluzione per quei pazienti che per vari motivi hanno problemi con l’endovena, oltre naturalmente a portare benefici addizionali legati alla praticità di autosomministrazione in un contesto non ospedaliero e senza il vincolo del peso: il dosaggio della “penna” è infatti fisso.

Siamo dunque di fronte ad un importante passo avanti per la qualità di vita del malato, che si associa inoltre a risparmi per il servizio sanitario nazionale: nessun calcolo della dose per ogni paziente, né ricostituzione della fiala e diluizione in sacca infusionale; nessun costo legato all’utilizzo di una poltrona/lettino infusionale; predittività del budget resa possibile dal dosaggio fisso della formulazione sottocutanea; conseguente liberazione di risorse e di tempo per le strutture ospedaliere e gli operatori sanitari.

“Belimumab – spiega il prof. Andrea Doria, Direttore della Reumatologia dell’Ospedale di Padova e tra i massimi esperti internazionali di lupus – è il capostipite di una nuova classe di farmaci, gli inibitori BLyS-specifici. Questo anticorpo monoclonale umano inibisce cioè l’attività biologica di BLyS, una proteina naturale necessaria per la trasformazione dei B-linfociti in plasmacellule B mature. Normalmente proprio le plasmacellule B producono gli anticorpi, linea fondamentale di difesa dell’organismo nei confronti delle infezioni. Nel LES, così come in altre malattie autoimmuni, valori elevati di BLyS possono favorire la produzione di autoanticorpi, che attaccano e distruggono i tessuti dell’organismo stesso”. Cosa succede di fatto? “Questo anticorpo monoclonale – prosegue Doria – è il primo che agisce direttamente sul BLyS circolante nel sangue e ne impedisce il legame ai suoi recettori. Inibendo la sopravvivenza di queste cellule, siano esse normali o invece autoreattive, come avviene nel caso del LES e di altre malattie autoimmuni, diminuiscono i livelli degli autoanticorpi che mantengono e peggiorano lo stato di malattia. Grazie alla somministrazione di belimumab, quindi, si inibisce il meccanismo che mantiene e incrementa il danno a carico degli organi e degli apparati nei pazienti con LES ad alto grado di attività di malattia”.

Il farmaco, proprio per l’originale meccanismo d’azione, ha dimostrato di controllare la progressione del danno d’organo in pazienti con lupus eritematoso sistemico attivo, come evidenziato di recente dai risultati di due analisi, presentate all’ultimo European League Against Rheumatism (EULAR) tenutosi ad Amsterdam. “I pazienti con LES – dice ancora il prof. Andrea Doria – rischiano di incorrere in danni irreversibili in più organi – cuore, reni, polmoni, sistema nervoso centrale – sia a causa di malattia attiva che di tossicità dei farmaci. La gravità e la frequenza aumentano nel tempo e i pazienti che presentano danni hanno mostrato di essere a rischio di accumulare danni aggiuntivi, che possono portare a complicanze gravi e persino fatali. Belimumab aveva già dimostrato una riduzione clinicamente significativa dell’attività della malattia negli studi registrativi BLISS di fase III. Le analisi presentate all’EULAR, che hanno utilizzato i dati degli studi di estensione a lungo termine a partire dagli studi cardine del BLISS, hanno mostrato bassi tassi di danni agli organi, oltre a fornire ulteriori prove dell’importanza di BLyS, nello sviluppo dei sintomi del LES, compreso il danno d’organo a lungo termine”. Inoltre uno studio italiano, coordinato proprio dal prof. Doria e dalla sua équipe e pubblicato su Journal of Autoimmunity, dimostra che i pazienti, trattati con belimumab, hanno avuto un miglioramento dell’intensità dei sintomi e della qualità di vita, nei parametri di laboratorio, come gli anticorpi anti-dsDNA o la proteinuria nelle 24 ore e, infine, in termini di misurazione della qualità di vita. “In particolare – conclude Doria – la terapia ha consentito di arrestare l’accumulo di danno a carico degli organi che si era verificato costantemente nei cinque anni precedenti il trattamento con l’anticorpo monoclonale. Inoltre il tasso di riacutizzazioni nei pazienti con LES, è risultato inferiore dopo uno o due anni di terapia con belimumab rispetto a quanto osservato nel periodo precedente”.

Il Lupus eritematoso sistemico è una malattia cronica autoimmune, che si manifesta con lesioni infiammatorie. Può colpire qualsiasi tessuto od organo nello stesso paziente. Ad oggi non esiste una causa specifica della malattia. Possiamo a ragion veduta parlare di una patologia multifattoriale, caratterizzata dalla comparsa di una risposta del sistema immune contro i propri costituenti e con interessamento potenziale dell’intero organismo. L’esempio paradigmatico è rappresentato dalla produzione di autoanticorpi diretti contro i componenti del nucleo cellulare. Non esiste dunque una causa unica ma più fattori che concorrono alla sua insorgenza. La diversa combinazione di questi fattori è a sua volta responsabile della variabilità del quadro clinico e della gravità della malattia lupica. A partire dalla predisposizione genetica, per arrivare agli stimoli ambientali: infezioni virali, raggi UV, sostanze tossiche, steroidi sessuali, prolattina, possono agire da fattori scatenanti; e alle anomalie immunitarie. In questi pazienti è presente un’alterazione della fisiologica regolazione dell’immunità umana con anomala risposta da parte dei linfociti. In particolare, una riduzione della morte cellulare programmata determinerebbe una maggiore longevità delle cellule immunitarie le quali, esposte agli stimoli multifattoriali di cui sopra, avrebbero maggiore facilità a produrre autoanticorpi. Da qui la cascata infiammatoria, la formazione di immunocomplessi e l’azione diretta degli stessi autoanticorpi su organi e apparati. Allo stesso tempo una minore capacità di rimozione delle cellule apoptotiche darebbe il la alla stimolazione delle risposte autoimmuni del lupus.

Il LES, pur essendo una patologia rara, è diffuso in tutto il mondo con percentuali di prevalenza variabili nelle diverse aree geografiche. In termini generali colpisce più le persone di colore e gli orientali rispetto alla razza caucasica. In Europa la prevalenza è di circa 15-50 casi ogni 100.000 abitanti, mentre l’incidenza va da 2 a 8 casi per 100.000. I valori sono mediamente più bassi in Europa rispetto agli Usa, ma nel vecchio continente il tasso di prevalenza appare più elevato in Italia e Spagna. Purtroppo su questo dato incide la scarsa tempestività nella diagnosi, spesso complessa anche per l’oggettiva difficoltà di sospettare la presenza della patologia in pazienti che presentano una sindrome di difficile definizione clinica. Altra cosa da tenere in considerazione, è di fatto una patologia di genere. La frequenza è maggiore nel sesso femminile, con un rapporto di 9 a 1. Il rapporto si riduce però a 2 a 1 nei bambini e in età postmenopausale, a conferma del ruolo dei fattori ormonali nella patogenesi della malattia. Anche per questo, l’esordio della malattia è più frequente tra i 15 e i 44 anni.