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Il fegato grasso è una patologia che colpisce almeno il 25% degli italiani. Una  percentuale che aumenta con l’età e soprattutto tra le persone in sovrappeso e diabetiche e che arriva al 50% nelle persone obese.

Un recente studio, sostenuto dalla Comunità europea e diretto e coordinato dai ricercatori di Humanitas, ha dimostrato per la prima volta che un’alterazione della barriera epiteliale e vascolare dell’intestino, causata da una dieta ricca di grassi, è alla base dello sviluppo della steatoepatite non alcolica. 

L’impatto clinico di questa scoperta tutta italiana è significativo per le malattie con danno epatico, tanto che i risultati della ricerca sono stati pubblicati e diffusi anche dlla rivista scientifica “Journal of Hepatology”.

“Mettendo per la prima volta in correlazione l’intestino con il fegato, abbiamo dimostrato che un’alimentazione ricca di grassi induce ad un’alterazione del microbiota in grado di danneggiare la barriera vascolare. Una volta aperta la barriera, alcuni batteri possono spostarsi dall’intestino al fegato, creando un’infiammazione che a lungo andare può provocare lo sviluppo della steatosi epatica non alcolica e, in seguito, della sindrome metabolica” – ha spiegato la coordinatrice dello studio, la professoressa Maria Rescigno, Principal Investigator del Laboratorio di Immunologia delle mucose e Microbiota di Humanitas e docente di Humanitas University.

Il nostro intestino è protetto da due importanti barriere, una epiteliale esterna e una vascolare in grado di impedire ai batteri di passare nel circolo sanguigno.

Nello studio sono stati utilizzati sia tessuti di pazienti affetti da steatosi epatica prelevati dall’intestino, in cui è stato dimostrato che la barriera risulta alterata, sia modelli preclinici in cui è stato possibile stabilire quando aprire o chiudere la barriera.

Dalle analisi si è osservato che quando la barriera è chiusa si riesce ad inibire lo sviluppo della malattia.  Inoltre, è stato dimostrato che il più delle volte lo sviluppo della malattia si verifica in pazienti con la sindrome metabolica e può essere legato ad una dieta con alto contenuto di zuccheri e grassi. 

“La ricerca apre nuove frontiere e prospettive di cura per malattie come il fegato grasso o la steatoepatite non alcolica. Proseguendo nelle nostre ricerche – ha aggiunto Rescigno – abbiamo osservato che inibendo l’apertura della barriera vascolare o attraverso un metodo genetico o utilizzando l’acido obeticolico, siamo in grado di chiudere la barriera e non permettere a componenti batteriche di entrare in circolo e quindi di sviluppare la malattia”.