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Nel 2017 13 milioni di italiani hanno rinunciato a curarsi per motivi economici, per le lunghe liste di attesa o perché non si fidano del sistema sanitario della loro regione. Oltre 320mila “viaggi della speranza” dal Sud con bilanci in rosso per 1,2 miliardi di euro. Cresce la “democrazia sanitaria”: 357 milioni di euro pari a un incremento del 15% rispetto al 2016. Litigare nel comparto sanitario è costato quasi 500mila euro al giorno.
E’ l’Emilia Romagna, la regione in testa per efficienza del sistema sanitario italiano, strappando la prima posizione al Piemonte, mentre Sicilia e Molise si collocano in coda tra le realtà “più malate” del Paese. In totale sono sei le realtà territoriali definite “sane”, nove le aree “influenzate” e cinque le regioni “malate”. Crolla il Piemonte che precipita di 10 posizioni rispetto all’anno precedente, collocandosi nell’area delle regioni “influenzate”. Entrano, inoltre, nell’area delle realtà sanitarie d’eccellenza, Marche, Veneto, Toscana e Umbria. Al Sud la migliore perfomance spetta alla Puglia, all’Abruzzo e alla Basilicata che migliorano la loro “condizione”, rispetto all’anno precedente, lasciando l’area dei sistemi sanitari locali più sofferenti. La Calabria abbandona, per la prima volta, l’ultima posizione tra le realtà “malate” collocandosi immediatamente al di sopra di Sicilia e Molise.
Nel 2017, inoltre, ben 13,5 milioni di italiani, pari al 22,3%, hanno rinunciato a curarsi per motivi economici, per le lunghe liste di attesa e perché, non fidandosi del sistema sanitario della regione di residenza, non hanno potuto affrontare i costi della migrazione sanitaria ritenuti troppo esosi. Un comportamento ancora significativamente preoccupante nonostante una rilevante contrazione rispetto al 2016 pari all’11,8%.
E’ quanto emerge dall’Indice di Performance Sanitaria realizzato, per il terzo anno consecutivo, dall’Istituto Demoskopika sulla base di otto indicatori: soddisfazione sui servizi sanitari, mobilità attiva, mobilità passiva, risultato d’esercizio, disagio economico delle famiglie per spese sanitarie out of pocket, spese legali per liti da contenzioso e da sentenze sfavorevoli, costi della politica e speranza di vita.
Oltre 13 milioni di italiani hanno rinunciato a curarsi, per motivi economici, lunghe liste d’attesa e sfiducia nel sistema sanitario. Una famiglia su tre in Italia ha rinunciato a curarsi nel 2017. È quanto emerso dal sondaggio realizzato annualmente dall’Istituto Demoskopika ad un campione rappresentativo di cittadini. Tra i fattori principali figurano i “motivi economici” e le “lunghe liste di attesa” rispettivamente nel 10,9% e nel 9,8% dei casi. E, ancora, l’8,9% del campione intervistato ha dichiarato di non curarsi “in attesa di una risoluzione spontanea del problema” o, addirittura, per “paura delle cure” come nel 2,9% dei comportamenti rilevati. L’impossibilità ad occuparsi della propria salute o di quella di qualche suo familiare perché “curarsi fuori costa troppo, non fidandosi del sistema sanitario della regione in cui vive”, inoltre, ha rappresentato un valido deterrente per l’1,6% dei cittadini, con un picco nelle realtà regionali del Sud pari al doppio. La paura delle cure, infine, con il 2,9% dei casi rilevati, chiude le motivazioni della rinuncia a curarsi nel 2017.
Sei i sistemi sanitari più “sani”. Sud si conferma “malato” ma con qualche miglioramento. è un testa a testa tra realtà del Nord e del Centro, la competizione sulla migliore perfomance dei sistemi sanitari regionali. A “condizionare” i cambiamenti nell’area “sana” della classifica dell’Indice di perfomance sanitaria dell’Istituto Demoskopika per il 2017 rispetto all’anno precedente, i miglioramenti rilevanti prioritariamente di Veneto, Marche, Umbria, Emilia Romagna e Toscana. A guidare la graduatoria, in particolare, l’Emilia Romagna che con un punteggio pari a 646,6 conquista la vetta, spodestando il Piemonte che, con 497,4 punti, ha registrato una retrocessione di 10 posizioni rispetto all’anno precedente collocandosi nell’area delle regioni con un sistema sanitario “influenzato”. Seguono, tra i migliori sistemi sanitari locali, le Marche che, con un saldo in avanti di 5 posizioni rispetto al 2016, ottiene la seconda posizione immediatamente seguita sul podio dal Veneto con 601,9 che con un rilevante balzo in avanti di 7 posizioni lascia l’area delle realtà sanitaria “influenzate” conquistando l’obiettivo di sistema “sano”. Nel cluster delle migliori, ci sono anche Toscana con 591 punti, Umbria con 581,7 punti e Lombardia con 580,4 puntiNel gruppo, ben più consistente, delle regioni “influenzate” si collocano ben nove realtà: Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Lazio, Liguria, Piemonte, Puglia, Valle d’Aosta, Abruzzo e Basilicata.
Sono tutte del Sud, infine, le rimanenti regioni che contraddistinguono l’area dell’inefficienza sanitaria, dei sistemi sanitari etichettati “malati” nel ranking di Demoskopika: Campania, Sardegna, Calabria, Sicilia e Molise.
I sistemi più apprezzati in Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige e Veneto. Circa 4 italiani su 10 dichiarano di essere soddisfatti dei servizi sanitari legati ai vari aspetti del ricovero: assistenza medica, assistenza infermieristica e servizi igienici. Un andamento in crescita del 2,5% rispetto all’anno precedente. L’indicatore conferma un divario più che significativo tra le diverse realtà regionali. I più “appagati” vivono in Valle d’Aosta che ha ottenuto il massimo del risultato immediatamente seguito dal Trentino Alto Adige. A seguire con una distanza significativa, Veneto, Emilia Romagna, Umbria, Piemonte, Liguria, Friuli Venezia Giulia, Marche, Lazio, Toscana e Sardegna, realtà in cui il livello medio di soddisfazione per i servizi ospedalieri, rilevata dall’Istat tra coloro che hanno subìto almeno un ricovero nei tre mesi precedenti l’intervista, oscilla tra il 50% e il 30%. In coda alla graduatoria per il minor livello di soddisfazione, pari mediamente al 20%, si collocano le rimanete sette realtà regionali: Campania, Abruzzo, Molise, Sicilia, Puglia, Calabria e Basilicata.
Per Molise e Sardegna confermati i primati positivo e negativo relativi alla mobilità sanitaria attiva in Italia. In particolare, analizzando gli ultimi dati disponibili relativi al 2016, è il Molise, con 100 punti, a mantenere la prima posizione della graduatoria parziale relativa alla mobilità attiva, l’indice di “attrazione” che indica la percentuale, in una determinata regione, dei ricoveri di pazienti residenti in altre regioni sul totale dei ricoveri registrati nella regione stessa, e che in Molise, per l’appunto, è pari al 28%. Sul versante opposto, si colloca la Sardegna con un rapporto tra i ricoveri in regione dei non residenti sul totale dei ricoveri erogati pari all’1,5%.
In valori assoluti, sono principalmente cinque le regioni che attraggono il maggior numero di pazienti non residenti: Lombardia, Emilia Romagna, Lazio, Toscana e Veneto.
Oltre 320mila “viaggi della speranza” dal Sud. I meridionali confermano la loro diffidenza a curarsi nelle loro realtà di regionali. In particolare, con un indice medio di “fuga”, pari al 10,4%, che misura, in una determinata regione, la percentuale dei residenti ricoverati presso strutture sanitarie di altre regioni sul totale dei ricoveri sia intra che extra regionali, il Sud si colloca in fondo per attrattività sanitaria dopo le realtà regionali del Centro con un indice di fuga pari all’8,9% e del Nord. Ciò significa che, nei 12 mesi del 2016, la migrazione sanitaria dalle realtà regionali del meridione può essere quantificabile in oltre 321 mila ricoveri.
Come per la mobilità attiva, anche per la mobilità passiva, lo studio di Demoskopika ha generato una classifica parziale che vede collocate, nelle “posizioni estreme”, il Molise in cima per “diffidenza” con un indice di mobilità passiva pari 27,2%; sul versante opposto, i più “fedeli” al loro sistema sanitario si confermano i lombardi. La Lombardia, infatti, con appena il 4,7%, registra il rapporto minore di ricoveri fuori regione dei residenti sul totale dei ricoveri totalizzando il massimo del punteggio.
Un quadro del “turismo sanitario” che alimenta crediti per alcuni sistemi sanitari penalizzando, in termini di debiti maturati, tutto il meridione ad eccezione del Molise. E, analizzando la situazione nel dettaglio, si parte dalla Lombardia, quale sistema più virtuoso che, nel 2017, ha attratto circa 163mila ricoveri generando un credito, al netto dei debiti, pari a 808 milioni di euro per finire alla Calabria, quale sistema più penalizzato, che a fronte di poco meno di 60mila ricoveri fuori regione, ha maturato un debito pari a oltre 319 milioni di euro.
Nel solo 2017, le spese legali per liti, da contenzioso e da sentenze sfavorevoli, sostenute dal comparto sanitario italiano ammontano a 175 milioni di euro, circa 480mila euro al giorno. Sono le strutture sanitarie meridionali a essere più litigiose concentrando oltre il 60% delle spese legali complessive, pari a 104 milioni di euro, seguire da quelle del Centro con 45,4 milioni di euro e del Nord con una spesa generata per 25,3 milioni di euro. Sono Molise e Calabria a guidare la graduatoria dei sistemi sanitari pubblico più “avezzi” a contenziosi e sentenze sfavorevoli rispettivamente con una spesa pro-capite di 28,4 euro e 7,7 euro determinando esborsi in valore rispettivamente pari a 8,8 milioni di euro e 15,2 milioni di euro. Un dato ancora più rilevante se si considera che la spesa pro-capite italiana è di poco inferiore ai 3 euro. A seguire, nella parte più bassa della classifica dei più “litigiosi”, la Toscana con 6,8 euro di spesa pro-capite, la Basilicata con 6,3 euro pro-capite e la Sicilia con 5,4 euro pro-capite. Sul versante opposto, i meno litigiosi si sono rilevati i sistemi sanitari di Piemonte e Trentino Alto Adige con appena 0,5 euro di spesa pro-capite rispettivamente con 2 milioni di euro e 572mila euro di spese legali.
Sono 9 su 20, i sistemi sanitari regionali capaci di ottimizzare le risorse finanziarie disponibili per garantire l’efficienza del comparto. In particolare, accanto ad un risultato d’esercizio in rosso complessivamente per oltre 1 miliardo di euro nel 2017, le realtà più “sane” si sono contraddistinte, al contrario, per un attivo pari a poco più di 52 milioni di euro. Una perfomance più evidente se si concentra l’attenzione sui singoli sistemi sanitari. E, infatti, spostando l’analisi a livello territoriale, si palesa maggiormente lo squilibrio economico strutturale in alcuni contesti regionali, nonostante lo strumento del piano di rientro. E così, nel 2016 il risultato d’esercizio desumibile dal conto economico degli enti sanitari locali premia prioritariamente le Marche con un avanzo pari a 9,3 euro pro capite, l’Umbria con un avanzo pari a 6,2 euro pro capite mentre relega nelle posizioni “meno virtuose” il Trentino Alto Adige con un disavanzo del sistema sanitario pari a 216,8 euro pro capite, la Sardegna con un disavanzo del sistema sanitario pari a 193,5 euro pro capite, la Valle d’Aosta con un disavanzo del sistema sanitario pari a 169,6 euro pro capite e il Molise con un disavanzo del sistema sanitario pari a 134,6 euro pro capite.
Lo studio di Demoskopika utilizza la speranza di vita, data dal numero medio di anni che una persona può aspettarsi di vivere al momento della sua nascita, quale indicatore per misurare l’efficacia dei sistemi sanitari regionali: più alta è la speranza di vita in una regione, maggiore è il contributo al miglioramento delle condizioni di salute dei cittadini prodotto dall’erogazione dei servizi sanitari in quel determinato territorio. Nel dettaglio, a guadagnare il podio della classifica parziale della speranza di vita, quale dimensione della perfomance sanitaria individuata da Demoskopika, si collocano il Trentino Alto Adige che con una speranza di vita media più elevata rispetto al resto d’Italia pari a 83,6 anni ottiene il punteggio massimo. Seguono Marche, Umbria e Veneto a pari merito con 89,2 punti. Quattro le realtà regionali, infine, ad essere caratterizzate da una vita media più bassa: la Campania con una speranza di vita pari a 81,1 anni produce la perfomance peggiore, seguono Sicilia, Valle d’Aostae Calabria.
Spesi oltre 357 milioni di euro per la “democrazia sanitaria”, +14,8% rispetto al 2016. Mantenere il management delle aziende ospedaliere, delle aziende sanitarie e delle strutture sanitarie, più in generale, è costato oltre 357 milioni di euro nel 2017 con un incremento significativo, pari al 14,8% rispetto all’anno precedente.
A livello locale, a emettere più mandati di pagamento, in termini pro-capite, per indennità, rimborsi, ritenute erariali e contributi previdenziali per gli organi istituzionali sono state le strutture sanitarie della Sicilia con 11,6 euro di spesa pro-capite pari a complessivi 58,4 milioni di euro. Seguono a distanza le “democrazie sanitarie” della Lombardia con 9,5 euro di spesa pro-capite e del Trentino Alto Adige con 8,5 euro di spesa pro-capite.
Al contrario, a spiccare per maggiore “parsimonia” nell’impiego del management sanitario, le Marche con 1,4 euro di spesa pro-capite, il Molise con 1,8 euro di spesa pro-capite e la Campania con 2 euro di spesa pro-capite.
Colpite oltre 1,5 milioni di famiglie italiane. L’indicatore “famiglie impoverite” esprime, in termini percentuali, la quota di famiglie in condizioni di disagio economico per le spese sanitarie out of pocket. Esso aggrega sia i fenomeni dell’impoverimento sia quello delle nuove rinunce alle spese sanitarie. A finire nell’area del disagio economico, a causa delle spese sanitarie out of pocket, sono soprattutto le famiglie in Molise con una quota del 10% quantificabile in circa 13mila nuclei familiari. Seguono la Campania con una quota del 9,9% pari a 225mila famiglie, la Calabria e la Sardegna entrambe con una quota del 9,2% coinvolgendo nel processo di impoverimento rispettivamente 67mila e 74mila nuclei familiari. Capovolgendo la classifica, sono Marche e Trentino Alto Adige a meritare il ranking migliore in questa graduatoria parziale dell’Indice di Performance Sanitaria di Demoskopika, con una quota percentuale, per entrambe le realtà, di appena il 2,7% di nuclei familiari in condizioni di disagio economico per le spese sanitarie out of pocket che ha coinvolto rispettivamente 17 mila e 12 mila nuclei familiari.