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Inattività e sedentarietà sono due comportamenti deleteri, ma molto comuni tra le persone che soffrono di diabete di tipo 2, malattia metabolica che si sviluppa soprattutto in età adulta per l’incapacità da parte delle cellule dell’organismo di produrre e utilizzare l’insulina. Quando si parla di inattività si fa riferimento a movimenti ridotti e non impegnativi a livello muscolare, mentre per sedentarietà si intende la condizione di chi trascorre un tempo eccessivo e spesso ininterrotto in posizione seduta o reclinata.

Uno studio randomizzato e controllato, coordinato da Giuseppe Pugliese del Dipartimento di Medicina clinica e molecolare della Sapienza e responsabile della UOC di Medicina Specialistica Endocrino-Metabolica del Sant’Andrea di Roma, ha confrontato una strategia di intervento comportamentale, finalizzata sia a incrementare l’attività fisica che a ridurre il tempo sedentario, con un trattamento standard in 300 pazienti con diabete di tipo 2 fisicamente inattivi e sedentari, di entrambi i sessi e di età media di circa 62 anni, reclutati in tre centri diabetologici romani.

I risultati dello studio, realizzato nell’ambito della ricerca spontanea del Dipartimento, sono pubblicati sulla rivista “Journal of the American Medical Association”.

I partecipanti del gruppo di intervento comportamentale hanno preso parte a una seduta di counseling teorico condotta da un diabetologo e a 8 sedute bisettimanali di counseling teorico-pratico con un personal trainer in palestra, una volta all’anno per 3 anni. I partecipanti del gruppo di trattamento hanno invece ricevuto solo raccomandazioni generiche per aumentare l’attività fisica e ridurre il tempo sedentario.

I risultati hanno mostrato un significativo incremento del volume di attività fisica, sia di intensità moderato-vigorosa, che soprattutto di intensità lieve e una speculare riduzione del tempo sedentario, misurati con un accelerometro, nel gruppo di intervento comportamentale rispetto al gruppo di trattamento standard.
Questa modifica comportamentale si è accompagnata a importanti benefici clinici, benché l’aumento dell’attività fisica fosse più di intensità lieve che non moderato-vigorosa. In particolare, si è osservato un incremento sostenuto nel tempo della fitness cardiorespiratoria e muscolare, ovvero la capacità di eseguire rispettivamente attività aerobiche e di forza che sono entrambe indipendentemente l’una dall’altra correlate a una maggiore sopravvivenza.

“Il messaggio principale di questo studio – spiega Giuseppe Pugliese – risiede nella possibilità di ottenere una modifica a lungo termine dello stile di vita di soggetti fisicamente inattivi e sedentari quali sono in genere i pazienti con diabete di tipo 2, purché si mettano in atto interventi comportamentali adeguati che però richiedono personale specificamente formato. Inoltre – conclude Pugliese – modifiche comportamentali anche modeste possono tradursi in vantaggi clinici rilevanti”.

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