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La letalità della maggior parte dei tumori è data dalla capacità delle celluletumorali di viaggiare in altri organi, rispetto a quello dove si sono originate, un processo chiamato metastasi. Una volta colonizzati altri organi, le cellule tumorali possono crescere, andando a compromettere la funzionalità dell’organo. Sappiamo che tutte le cellule del corpo, per funzionare correttamente, hanno bisogno di trovarsi in un ambiente che esse riconoscano come “casa”, tecnicamente chiamata “nicchia”. Ma come fanno dunque delle cellule tumorali di un organo a sopravvivere in un altro organo, cioè in una nicchia totalmente diversa? Negli ultimi anni si è capito che anche le cellule tumorali, come quelle sane, richiedono una particolare nicchia, ma sono in grado di costruirsela, una volta arrivate nell’organo bersaglio. In alcuni tipi di tumore inoltre, come il tumore alla mammella o alla prostata, accade frequentemente che le cellule metastatiche non crescano subito una volta arrivate nell’organo bersaglio, ma entrano in uno stato di “letargo” in cui riescono a sopravvivere per molti anni prima di crescere. Ogni anno in Veneto, vengono diagnosticati circa 4.500 nuovi casi di tumore alla mammella, 50.000 nell’intero Paese, e metà dei pazienti con tumore alla mammella estrogeno-positivi sviluppano metastasi da 5 a 20 anni dopo la rimozione chirurgica del tumore primario. «Nonostante le recidive tardive siano un fenomeno molto frequente per alcuni tipi di tumore, sappiamo ancora poco dei meccanismi che stanno alla base della dormancy – spiega il dott. Marco Montagner, autore dello studio -. Scoprire i segnali che permettono l’adattamento delle cellule tumorali al nuovo ambiente e capire quali siano i componenti della nicchia, è fondamentale per elaborare delle terapie che uccidano le cellule metastatiche silenti, prima che si risveglino e formino delle metastasi.»
I ricercatori hanno scoperto che le cellule tumorali della mammella instaurano un dialogo con le cellule sane del polmone che permette loro di sopravvivere nel nuovo ambiente. Questa interazione permette loro di attivare un vero e proprio programma di sopravvivenza; ad esempio sintetizzano delle proteine che fungono da impalcatura ed emettono dei prolungamenti che permettono loro di ancorarsi saldamente a quest’impalcatura. Al centro di questo programma c’è il gene sFRP2, che viene acceso dalle cellule tumorali una volta arrivate al polmone e che regola la formazione dei prolungamenti. «Abbiamo hanno usato dei “topi modello” per dimostrare che le cellule tumorali in cui sFRP2 veniva bloccato, non sono in grado di sopravvivere al polmone – dice Montagner -. Per studiare con più precisione la relazione tra le cellule sane del polmone e le cellule metastatiche, abbiamo poi creato un sistema che mima alcune delle caratteristiche cellulari e biofisiche dell’alveolo polmonare. Grazie a questo modello artificiale, siamo riusciti ad identificare un trattamento farmacologico che blocca l’adattamento delle cellule tumorali al nuovo ambiente e che uccide le cellule tumorali silenti disseminate ai polmoni dei topi trattati. È probabile che non tutte le cellule tumorali dipendano dagli stessi segnali ed il nostro lavoro sarà quello di scoprirne altri che possano uccidere più efficacemente le cellule disseminate al polmone e in altri organi; ma capire se ci siano dei meccanismi comuni ai diversi segnali, ci permetterà di identificare i processi essenziali di sopravvivenza e di colpirli prima dello sviluppo di recidi