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Nel 2017 sono stati circa 18mila in Italia gli interventi di chirurgia robotica, quasi 12mila in ambito urologico, 14% in più del 2016, e con un incremento, sempre costante, dell’83% a partire dal 2006. Con questi numeri l’Italia è tra le nazioni leader in Europa in questo campo. Con l’installazione del centesimo robot Da Vinci, al policlinico di Catania, raggiunge infatti la Francia con la quale ora condivide il primo posto del podio, seguita da Germania e Regno Unito. E l’Europa, con 742 robot Da Vinci installati, si piazza al secondo posto dopo gli Stati Uniti, con 2862. Nel mondo, dopo la ginecologia, è proprio la chirurgia urologica ad essere la principale area di intervento con il robot. In Italia, invece, resta l’urologia a farla da padrona, con il 67% di interventi, seguita dalla chirurgia generale, quindi dalla ginecologia e da altri settori minori. In urologia i motivi di tale successo sono molti e molto semplici: la precisione del robot consente maggiore facilità di accesso alle anatomie più complesse, una impeccabile precisione demolitiva e ricostruttiva, una minore perdita di sangue, una riduzione della degenza post operatoria e una diminuzione degli effetti collaterali. A questo si aggiungono caratteristiche come la visione tridimensionale immersiva in grado di moltiplicare fino a 10 volte la normale visione dell’occhio umano. Dopo qualche anno di attesa, oggi quasi tutte le Regioni italiane sono dotate di robot in sala operatoria, ed è iniziato un percorso di uniformizzazione tra Nord e Sud, negli ultimi tre anni infatti la robotica al Sud sta viaggiando veloce, con centinaia di interventi ogni mese. Certamente c’è ancora da lavorare per ottimizzare i sistemi, ma le basi strutturali sono state poste e stanno dando ottimi risultati.
“La chirurgia robotica da Vinci – spiega il Prof. Walter Artibani, Direttore dell’UO di Urologia dell’AOU Integrata di Verona – è emblema della chirurgia mininvasiva. Il robot conferisce al gesto chirurgico una precisione non confrontabile con altre tecniche e permette di superare i limiti legati alla difficoltà di trattare, con la laparoscopia, patologie in sedi anatomiche difficili da raggiungere. L’urologia italiana oggi è un’eccellenza nel campo della robotica. Ormai quasi tutti i principali centri, sia al Nord che al Sud, sono dotati della strumentazione tecnica necessaria. Inoltre, la possibilità di avere una doppia postazione consente di poter effettuare, oltre a interventi precisi e nel segno della mininvasività, una eccellente formazione professionale. Perché deve essere chiaro che ogni passo avanti nella medicina e nella chirurgia, come in questo caso, deve essere a vantaggio esclusivo del paziente e della sua sicurezza”.
Possiamo dire che grazie a questa tecnologia chi manovra il robot diventa un ‘superchirurgo’, la vista viene magnificata e moltiplicata di 10 volte, mentre i gesti chirurgici si fanno più ampi, con una libertà di movimento su 7 assi ed una rotazione di 540°, capacità sconosciute alla mano umana. “L’intervento robotico, infatti – aggiunge il Prof. Vincenzo Mirone, Direttore della Scuola di Specializzazione in Urologia dell’Università degli Studi Federico II di Napoli – è più rapido e così preciso da azzerare di fatto il rischio di recidive. Grazie alla visione amplificata dell’area interessata, si asporta tutto il tessuto malato in modo molto più puntuale. Le incisioni sono più piccole e discrete, causano quindi minor sanguinamento ed un ridotto dolore post operatorio. Questa precisione garantita dall’essere ‘super chirurghi’ cioè con i sensi aumentati, assicura anche migliori risultati di prospettiva: maggior sopravvivenza libera da malattia in caso di tumore, ma anche esiti funzionali migliori. Basti pensare, nel caso ‘classico’ di tumore della prostata, alla possibilità di mantenere la continenza urinaria ed una buona erezione anche con interventi fortemente demolitivi. La tecnica robotica infatti, da una parte rispetta lo sfintere urinario e permette di ricostruire l’uretra evitando l’incontinenza che invece è un problema oggi per il 5% dei pazienti operati con metodica tradizionale. Dall’altra, sempre l’apporto del robot, consente di risparmiare i fasci nervosi che regolano l’erezione al fine di garantire migliori risultati nei pazienti con tumore della prostata e scongiurando il rischio di impotenza che, negli uomini più giovani e sottoposti a intervento tradizionale, può sfiorare il 60% nel primo anno dall’intervento”.
Il tumore della prostata, che conta oltre 36 mila nuovi casi ogni anno in Italia, con circa 7000 decessi, non è l’unica area urologica in cui il robot si sta rivelando efficace. “È infatti utilizzato sempre più frequentemente anche per il tumore del rene – precisa il prof. Mirone – ma entro determinati e ben precisi parametri. Ad esempio, se le dimensioni del tumore sono comprese tra i 3 e i 7 centimetri ed è possibile una resezione parziale del rene.
“I robot da Vinci installati in Italia – conclude il prof. Artibani – sono in continua e costante crescita, ma ancora tanto c’è da fare per colmare il divario tra aree geografiche. I sistemi da Vinci al Nord sono ben 43, il Centro dispone di 25 robot e al Sud si contano 15 installazioni. Tale gap richiede di essere sanato quanto prima anche per frenare il fenomeno della migrazione sanitaria che porta i malati ad abbandonare le regioni di appartenenza per vedere assicurato il proprio diritto alle migliori cure, seppur lontano da casa e con l’aggravio di costi sanitari.”
Sebbene negli ultimi anni sempre più strutture si siano dotate del sistema da Vinci, il potenziale di utilizzo di questa tecnologia è ancora parzialmente inespresso; basti pensare che, nei centri utilizzatori, il 90% delle prostatectomie viene eseguito roboticamente. In Italia invece, sul totale complessivo delle prostatectomie, solo il 35% degli interventi è robotico. Questo esempio, pur riferendosi ad una sola patologia, ben rappresenta quanto ancora si possa fare per estendere l’utilizzo appropriato dei sistemi robotici.