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Hai mai sentito parlare di BPCO?” Due volte su tre, la risposta a questa domanda è “no”. Soltanto il 45% dei tedeschi, il 44% degli inglesi, il 41% degli spagnoli, appena il 20% dei belgi e, fanalino di coda, il 10% degli italiani, infatti, ha risposto di sì. A rivelarlo è un’approfondita indagine realizzata a luglio da GfK Eurisko in cinque Paesi europei su un campione di 4.250 persone dai 18 anni in poi. In media, “ha sentito parlare di BPCO” il 35% degli intervistati e soltanto il 10% ha associato la sigla alla Bronco Pneumopatia Cronica Ostruttiva. Un numero sorprendentemente basso per una malattia che colpisce 348 milioni di persone nel mondo e che entro il 2020 sarà la terza causa di decesso.
L’indagine GfK Eurisko “La BPCO: le conoscenze, i vissuti, l‘impatto sulla qualità di vita”, svela molti aspetti di questa malattia e della percezione che se ne ha. Correttamente, viene considerata grave o molto grave nella quasi totalità dei casi (95%) e nella classifica delle patologie più severe viene messa al quinto posto, dopo cancro, infarto, ictus e Alzheimer. Anche riguardo alla prevenzione c’è un buon livello di consapevolezza: i dati mostrano che per la maggior parte delle persone che la conoscono, la BPCO può essere prevenuta non fumando o smettendo di fumare (84%) e facendo controlli periodici (63%). Il fumo, in particolare, è considerato la causa principale dell’insorgere della malattia (da oltre l’80% di chi ne ha sentito parlare), seguito dall’inquinamento (54%) e dalla familiarità (37%).
“È indispensabile che si alzi la guardia su questa malattia, che nel mondo causa tre milioni di morti ogni anno”, afferma Leonardo M. Fabbri, già Professore di Medicina Interna e Respiratoria presso l’Università di Modena e Reggio Emilia, Visiting Professor di Medicina Interna e Respiratoria all’Università di Ferrara e Gothenburg (Svezia). “Secondo l’indagine GfK Eurisko – continua Fabbri – l’opinione pubblica la pone al quinto posto tra le malattie più invalidanti, dopo gli eventi cardiovascolari. Ma pochi forse sanno che oggi la mortalità di chi è ricoverato in ospedale per infarto è del 15% a tre anni, mentre la mortalità di un paziente con BPCO ricoverato per una riacutizzazione della malattia, cioè un peggioramento acuto dei sintomi, è del 50% nello stesso periodo”.
L’indagine ha coinvolto anche persone con BPCO. I sintomi della malattia più presenti risultano essere la stanchezza (48%), la mancanza di fiato/fiato corto (dispnea, 46%), la tosse secca (40%), il senso di oppressione sul petto e la difficoltà a respirare (31%).
Ma al di là dell’elenco dei singoli sintomi, i dati svelano il grande impatto della malattia sulla qualità della vita. La BPCO influenza la vita in generale nel 75% dei casi, il lavoro e le attività quotidiane nel 66%, la vita sociale, le relazioni e la vita familiare nel 56% e la vita di coppia nel 51%.
Scendendo più nel dettaglio, nel 79% dei casi i pazienti hanno difficoltà a fare qualsiasi tipo di attività sportiva; nel 62% non riescono a dedicarsi come vorrebbero al proprio hobby; nella stessa percentuale (62%) non riescono a prendersi cura dei bambini o a giocare con loro; il 56% limita i viaggi, il 53% la vita affettiva, il 47% gli incontri con gli amici e il 42% le uscite per andare al ristorante, al cinema, a teatro, al pub.
Solo il 35% dei pazienti intervistati assume un solo farmaco, il 42% ne assume due e ben il 23% ne assume tre o più. Questo per molti significa dover gestire più inalatori: un problema che si riflette sull’aderenza al trattamento. Se il 75% segue le prescrizioni del medico, infatti, uno su quattro non riesce: la metà perché si sente meglio e pensa di non aver bisogno del farmaco, il 41% perché si dimentica, il 13% perché “assumere tante medicine lo fa sentire malato”. Altri commentano che “è difficile utilizzare differenti tipi di inalatore”, che la cura non è efficace e che è una cura complicata, ed è facile commettere errori.
In ultimo, l’indagine ha sondato quali siano i bisogni ancora insoddisfatti di questi pazienti. Ebbene, la stragrande maggioranza – 85% – vorrebbe un farmaco che lo facesse stare meglio, il 77% vorrebbe un farmaco che agisse più in fretta, il 65% vorrebbe usare un solo inalatore, il 60% vorrebbe dover assumere un solo farmaco.
“La BPCO è una malattia cronica, invalidante e progressiva, che coinvolge non solo le vie centrali, ma anche le piccole vie aeree, e sono ancora molti i bisogni insoddisfatti dei pazienti, soprattutto di quelli con una malattia moderata o severa”, sottolinea Dave Singh, Professor of Clinical Pharmacology and Respiratory Medicine presso la University of Manchester: “La gestione della BPCO però sta cambiando, proprio con gli obiettivi di garantire una migliore qualità di vita attraverso un maggior controllo dei sintomi, e di prevenire le riacutizzazioni, che sono gli eventi più traumatici per i pazienti, perché rappresentano un aggravamento irreversibile della malattia e aumentano il rischio di mortalità. I pazienti con BPCO possono trarre beneficio dai farmaci con formulazione extrafine, che penetrano più in profondità nei polmoni, arrivando così fino alle piccole vie aeree. Inoltre, la possibilità di disporre dei tre farmaci in un solo inalatore potrebbe aiutare i pazienti ad aderire maggiormente alla terapia. Potremo misurare i benefici in molti modi diversi: attraverso l’aumento della funzionalità polmonare, osservando come si sentono i pazienti giorno dopo giorno e attraverso la riduzione delle riacutizzazioni”, spiega Singh.