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Atezolizumab, il primo agente immunoterapico anti PD-L1 sviluppato da Roche, si è dimostrato efficace in associazione a chemioterapia nel trattamento del tumore al seno triplo negativo metastatico in prima linea. I risultati, frutto dello studio clinico di fase III IMpassion130, sono stati presentati al congresso dell’European Society for Medical Oncology in corso a Monaco di Baviera e contemporaneamente pubblicati sulla rivista New England Journal of Medicine.
Il tumore al seno triplo negativo metastatico rappresenta la forma di cancro della mammella più difficile da curare. Le cellule di questo tumore infatti non presentano sulla loro superficie nessuno dei tre classici bersagli contro cui sono dirette le cure attualmente più efficaci. Proprio per questa ragione le opzioni di trattamento del mTNBC sono ancora fortemente limitate, non esiste uno standard di cura comunemente accettato e la prognosi è estremamente scarsa. Un bisogno terapeutico insoddisfatto su cui Roche sta da tempo investendo attraverso la realizzazione di numerosi studi.
IMpassion130 rappresenta il primo studio randomizzato di fase III a dimostrare un miglioramento statisticamente significativo della sopravvivenza libera da progressione nella popolazione ITT e nella sottopopolazione con status del tumore selezionato per PD-L1 rispetto alla sola chemioterapia. In particolare, i dati dimostrano che l’aggiunta di atezolizumab a nab-paclitaxel ha incrementato la PFS mediana nella popolazione ITT e nella popolazione PD-L1+, un sottogruppo determinato con valutazione dell’espressione del biomarcatore PD-L1.
Non solo, dalle analisi emerge anche un beneficio incoraggiante in termini di sopravvivenza globale nei pazienti PD-L1 positivi rispetto a quelli che non presentano la positività al marcatore PD-L1. Nell’analisi ad interim dello studio emerge infatti un’estensione clinicamente significativa e senza precedenti di 9,5 mesi in termini di OS mediana rispetto all’utilizzo della sola chemioterapia. Tali risultati sono al momento descrittivi, e il follow-up continuerà fino alla prossima analisi pianificata, con risultati aggiornati di OS attesi nel corso del 2019.
Positivi anche i risultati riguardanti il profilo di sicurezza del trattamento. Sia atezolizumab che nab-paclitaxel hanno profili di tollerabilità individuali ben definiti, e il profilo della combinazione si è confermato consistente con i rischi noti dei due singoli farmaci, sia nella popolazione valutabile per la safety sia nei pazienti PD-L1+. L’utilizzo contemporaneo non ha fatto registrare nessun nuovo evento relativo al profilo di sicurezza.
Questi dati, che presi globalmente mostrano l’efficacia di atezolizumab quale prima immunoterapia nel trattamento del mTNBC, hanno il potenziale di modificare la pratica clinica. Ad oggi infatti non esistono altri dati da studi di fase III con immunoterapici anti PD-(L)1 nel trattamento di questo tipo di tumore.
“Questi risultati sono di particolare importanza perché costituiscono una documentazione molto solida che deriva da uno studio randomizzato e controllato di efficacia dell’aggiunta di un modulatore della risposta immunitaria, come atezolizumab, a una terapia del carcinoma mammario triplo-negativo. I tumori mammari triplo-negativi hanno una certa propensione alla infiltrazione linfocitaria che spesso si associa a un blocco dell’attività e del controllo immunologico che può essere liberato dall’aggiunta di farmaci che vanno a bersaglio PD-L1. – spiega il prof. Luca Gianni, Direttore del Dipartimento di Oncologia Medica del San Raffaele Cancer Center – Quanto dimostrato inserisce a pieno diritto le neoplasie mammarie nel novero, ormai molto largo, di possibili indicazioni dell’immunoterapia nel campo dei tumori. Da questo punto di vista, si tratta di una prima dimostrazione di grandissima importanza, non soltanto per il principio che viene affermato ma anche perché sostanzialmente si tratta di un vantaggio dal punto di vista della durata, del beneficio offerto dalla somministrazione di questi farmaci, soprattutto nei casi di tumori che avevano una presenza di espressione di PD-L1. Esiste comunque la necessità di valutare a distanza di tempo l’effetto sulla sopravvivenza: se si osserverà una conferma a distanza di tempo, direi che il passo potrà essere definito con buone ragioni un passo da giganti.”
L’impegno di Roche nel trattamento del carcinoma mammario non si esaurisce al solo studio IMpassion130. “Da sempre il nostro gruppo – spiega la dottoressa Anna Maria Porrini, direttore medico di Roche Italia – si è dimostrato particolarmente attento nel cercare soluzioni terapeutiche per il tumore al seno. Ne è testimonianza la storia di trastuzumab, un anticorpo che ha modificato da anni il paradigma di trattamento del carcinoma mammario HER2+. I traguardi raggiunti da questa terapia sono stati successivamente migliorati ulteriormente dall’utilizzo combinato con pertuzumab, un anticorpo anti-HER2 di nuova generazione, sia in fase precoce che avanzata. Questi traguardi ci hanno spinto nel tempo a proseguire ancora di più nella ricerca di trattamenti sempre più efficaci e innovativi, come l’immunoterapia nel carcinoma triplo negativo, dove le terapie attuali non hanno portato a risultati ancora soddisfacenti. Atezolizumab, un anticorpo anti-PD-L1 che agisce sul sistema immunitario, è una molecola in cui crediamo molto, e che ad oggi ha già ottenuto straordinari risultati positivi in otto studi di Fase III in vari tipi di tumore.  Lo studio di questo farmaco nel carcinoma mammario triplo negativo prosegue con un ampio programma di fase III, sia in fase di malattia precoce che metastatica. In questo ultimo setting, gli studi IMpassion130, 131 e 132, valutano l’efficacia di atezolizumab in associazione ad altre chemioterapie. Continueremo a sviluppare questo farmaco nel campo delle immunoterapie antitumorali per offrire a ogni paziente soluzioni sempre più efficaci e personalizzate.”
Non tutti i tumori al seno sono uguali. Ne esistono molti sottotipi, a seconda delle caratteristiche genetiche e molecolari. Quello triplo negativo rappresenta il 15-20% delle diagnosi. Particolarmente diffuso al di sotto dei 50 anni e in chi presenta mutazioni nel gene BRCA1, il nome “triplo negativo” deriva dal fatto che in questo specifico tipo di tumore al seno, a differenza di altri tumori mammari, le cellule non possiedono sulla loro superficie la proteina HER2, né i recettori per gli estrogeni e per i progestinici.
L’assenza di questi “target” rende il “triplo negativo” la forma di cancro della mammella più difficile da curare. Se comparato con le altre forme, questo tipo di tumore è particolarmente aggressivo e presenta una sopravvivenza media dalla diagnosi nettamente inferiore rispetto alle altre forme. Non solo, di difficile diagnosi nelle donne giovani con tessuto mammario molto denso -in questi casi la mammografia è poco utile-, presenta un alto tasso di recidiva. Le principali sono quelle ai polmoni e al cervello.
Nonostante l’assenza di target specifici è stato dimostrato che un sottoinsieme di tumori al seno tripli negativi sovraesprime la proteina di superficie PD-L1 sulle cellule immunitarie infiltranti il tumore. Nel cancro la via di PD-L1 può limitare la risposta immunitaria antitumorale mediante inibizione dell’attività delle cellule T citotossiche nel microambiente tumorale. Pertanto, attraverso il blocco delle interazioni tra PD-L1 e il recettore PD-1, atezolizumab può stimolare le cellule T a uccidere le cellule cancerogene nel microambiente tumorale.
Questo meccanismo identificato diversi anni fa grazie agli studi di James P. Allison e Tasuku Honjo, li ha portati ad inizio ottobre ad essere premiati con il Nobel per la medicina. Sperimentata con successo anche in altre forme tumorali, la terapia anti PD-L1 può dunque rappresentare una possibile nuova cura per il cancro al seno triplo negativo, e i risultati dello studio IMpassion130 lo dimostrano con un set di dati robusto nei pazienti PD-L1+.
IMpassion130 è uno studio clinico di fase III, multicentrico, randomizzato in doppio cieco volto a valutare l’efficacia, la sicurezza e la farmacocinetica di atezolizumab e nab-paclitaxel rispetto a placebo in associazione con nab-paclitaxel in donne con carcinoma triplo negativo localmente avanzato o metastatico che non hanno mai ricevuto una precedente terapia sistemica per il tumore in oggetto. Lo studio ha coinvolto 902 pazienti ed ha avuto come endpoint coprimari la valutazione della Progression-Free Survival e della Overall Survival in entrambe le popolazioni ITT e PD-L1+. I risultati ottenuti dimostrano come atezolizumab, in combinazione con nab-paclitaxel, aumenti in modo statisticamente significativo la PFS rispetto alla sola chemioterapia sia nella popolazione ITT sia nella popolazione PD-L1+. L’OS invece è aumentata in maniera clinicamente significativa di 9.5 mesi nelle pazienti positive a PD-L1. Il profilo di sicurezza della combinazione atezolizumab + nab-paclitaxel è risultato sovrapponibile a quello dei singoli farmaci in studio e non sono stati identificati nuovi segnali di sicurezza con la combinazione.