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Dal 2 luglio 2018, presso il Reparto di Terapia Radiometabolica dell’Unità Operativa Complessa di Medicina Nucleare, è attiva una procedura terapeutica per la cura dei tumori neuroendocrini che prevede la somministrazione endovenosa di radiofarmaci che si legano in modo specifico alle cellule malate provocandone la selettiva eliminazione.
Questo tipo di terapia rientra in un nuovo protocollo di ricerca autofinanziato dall’Azienda Ospedaliero – Universitaria di Ferrara, approvato dal Comitato Etico e dall’Agenzia Italiana del Farmaco, che dà seguito ad altri studi già condotti su questa tipologia di pazienti.
Si chiama Terapia Radiorecettoriale ed è una cura riservata ai così detti Tumori Neuroendocrini o NETs, un eterogeneo gruppo di neoplasie che insorgono in varie parti del corpo e che possono comportarsi in modo più o meno aggressivo.
“La principale modalità curativa dei tumori neuroendocrini – chiarisce il dott. Mirco Bartolomei, Direttore dell’Unità Operativa di Medicina Nucleare e Responsabile dello studio FENET2016 – sarebbe rappresentata dalla chirurgia ma, nella maggior parte dei casi, la diagnosi avviene quando il paziente già presenta localizzazioni metastatiche diffuse e, quindi, uno stadio in cui l’intervento non è più possibile o, comunque, non può essere radicale. Vi è, a questo punto, la necessità di aggredire le varie lesioni tumorali con un trattamento sistemico in grado di colpire tutte le sedi di malattia. Le cellule che formano questo tipo di neoplasie presentano sulla loro superficie dei recettori specifici in grado di legare, con elevata affinità e avidità, la somatostatina – e le altre molecole simili alla somatostatina – sintetizzate in laboratorio che già sono utilizzate per bloccare la crescita di questi tumori e per alleviarne i sintomi”.
“Le somatostatine sintetiche possono essere unite mediante reazione chimica a specifiche sostanze radioattive – spiega la dott.ssa Licia Uccelli, Responsabile del Laboratorio di Radiofarmacia – e i composti che ne derivano, chiamati radiofarmaci, si differenziano tra di loro per la natura della radiazione e per il diverso grado di energia che trasferiscono alle cellule tumorali esaminate. Possono essere utilizzati radiofarmaci a uso diagnostico (68Ga-DOTATOC) che permettono di eseguire un esame PET e, quindi, la visualizzazione delle lesioni causate da NETs, oppure radiofarmaci a uso terapeutico con i quali è possibile veicolare su quelle stesse lesioni quantità di radiazioni in grado di provocarne la distruzione”.
Il dott. Alessandro Turra, Direttore dell’Unità Operativa di Fisica Medica, precisa che “le modalità operative previste dal protocollo FENET2016 offrono il vantaggio di poter effettuare trattamenti terapeutici personalizzati. Per ciascun paziente sarà elaborato un piano terapeutico che prevede il calcolo della dose di radiofarmaco da somministrare attraverso una valutazione dosimetrica individuale, messa a punto dal personale della Fisica Medica, che ha come finalità ultima quella di incrementare l’efficacia della terapia e di ridurne gli effetti collaterali”.
“Si tratta di una metodica di cura non invasiva – continua il dott. Bartolomei – priva di importanti effetti collaterali acuti e tardivi, così come già dimostrato da precedenti studi simili condotti in altri Centri. Rimane, comunque, un approccio terapeutico che richiede esperienza nella gestione di questa tipologia di pazienti e che non può prescindere da una costante sinergia tra tutti i professionisti coinvolti nel percorso: medici nucleari, fisici, infermieri e personale tecnico della Medicina Nucleare e della Fisica Medica.
Con l’avvio di questo percorso terapeutico, l’Ospedale di Cona si colloca tra le quattro strutture presenti sul territorio nazionale attualmente in grado di offrire questa tipologia di sperimentazione per il trattamento dei tumori neuroendocrini”.
Nell’arco di cinque anni saranno trattati 250 pazienti che arriveranno dal nostro territorio e da tutte le altre Regioni d’Italia e, ad oggi, 18 pazienti hanno già iniziato il loro percorso di cura.